[…] “We always return”, di Nella Tarantino, è uno di quei libri che ci mandano a dire che la fotografia – specie quella di autori italiani – è in buona salute e che ai soloni in attesa delle sue esequie non resta che aspettare. “We always return” è un libro dalle cui pagine gronda una magnifica poesia della nostalgia. Qui, sfogliando le pagine, si resta ammirati dalla perizia fotografica di Nella Tarantino, una perizia non solamente riconducibile all’abilità con cui maneggia l’apparecchio fotografico, ma dalla capacità di tenere viva la tensione. La sua voce, restituita dalla potenza delle fotografie, suona come un canto lontano, come la trama di un ordito misterioso. E lei, Nella Tarantino, non ne fa mistero. Al contrario: offre alla nostra visione una poetica ricca di rimandi, di segni, di contenuti.[…]
Scorrendo “We always return” abbiamo fatto un lungo viaggio; un viaggio lungo e silenzioso intorno all’anima dell’uomo e dei luoghi. Quanto abbiamo compreso è che siamo indissolubilmente legati alla memoria, cioè a quel cumulo di ricordi di cui è fatta la nostra esistenza. Gesualdo Bufalino ha scritto che «senza memoria saremmo immortali», individuando nella memoria la nostra stessa ragione di vivere, un antidoto contro l’inevitabile caducità umana. Non siamo creature immortali e dunque siamo obbligati a mantenere viva la memoria individuale e insieme quella collettiva.
[…] Nella Tarantino fa bene a ricordarcelo, è fotografa e dunque affida alla forza delle immagini uno dei più struggenti episodi della nostra identità. Ma un viaggio, perché si dica tale, necessita di un arrivo, di un ritorno. Così, come Ulisse individua in Itaca la ragione della sua stessa vita, anche noi, una volta imparata la lezione, dovremmo tendere a una nostra piccola Itaca. Certo, come avverte Kavafis bisogna augurarsi «che la strada sia lunga, fertile in avventure» ma è certo che quando torneremo a quella che chiamiamo casa non somiglieremo all’uomo che si è messo in cammino. Questo è quanto ci dice We always return e benvenuta sia la sua lezione e la voce di Nella Tarantino, le cui fotografie ci aggrediscono di bellezza e di pensieri che scavano nella profondità della nostra anima.
GIUSEPPE CICOZZETTI
Nella Tarantino in “We always return” dispiega un canto di rara intensità sulla poesia delle assenze e dei silenzi che talvolta le nostre vite incontrano, e di cui spesso non sappiamo cogliere il valore e l’importanza.
Le sue eccellenti fotografie basate su bianchi e neri assoluti rivelano lo splendore di figure colte nei momenti di solitudine e di abbandono.
SANDRO PARMIGGIANI
[…] Nella Tarantino lavora con macchina di formato 24x36: e questo si vede in quanto ogni immagine è colta al momento importante, al culmine della luce che desidera avere, quindi ben calcolata. Ho sfogliato “We always return” alcune volte in questi tre giorni da quando mi è arrivato. Mi piace lasciare che le idee mi diano suggerimenti per il successivo scritto. Fin dal primo momento dello sfogliarlo, mi è ritornato alla mente il mio primo periodo di fotografo del Teatro Municipale di Reggio Emilia, periodo che io ho definito “Espressionista”. Un percorso di quasi venti anni. Lì è maturato il mio amore per l’espressionismo. Come sempre faccio, da grande lettore (nel senso che leggo moltissimo) ho vari libri su questo modo di vedere la vita dei danzatori e dei mimi sul palco.
Nella Tarantino non mostra nel suo percorso in bianco e nero, nulla che sia teatro, se non decidiamo che il teatro è vita e la vita, teatro. Quella dei danzatori è certamente l’esaltazione del movimento, del gesto, della corsa, della battaglia così come le sorprendenti immagini di Nella lo sono nella vita di ogni giorno. La copertina di “We always return” ci mostra di un gruppo di bambini, lo stupore, l’incredulità, l’attesa di qualcosa che accadrà. La loro attesa è piena di quel sentimento d’animo acceso in loro da un inconsapevole espressionismo. Poi ci sono fotografie dove il movimento si muta in desiderio di fuggire dall’immagine, dal nero, un nero che copre, forme che diciamo “espressive”. E tutto questo sta nel lavoro di Nella, nonostante l’Espressionismo nasce culturalmente in Germania.
Moltissime immagini sono riprese in movimento o nel momento della corsa. Nella conosce e sa che l’immagine non termina ai bordi del supporto. I personaggi fotografati entrano da un lato, escono da un altro, a volte volano , per fuggire levitano verso l’alto. […] VASCO ASCOLINI
[…] Chi siete voi che sempre ritornate, lunghe ombre del tramonto, sguardi ciechi d’anime prigioniere nella nebbia su di una nave di ghiaccio, perduta ciurma di fantasmi. Chi siete voi che ora ci guardate attraverso gli occhi del vostro tempo mortale, da dove? Da quando? Chi siete voi che dietro queste maschere da sempre ritornate, maschere fisse di volti e tempo e sentimenti, maschere senza nome, fantasmi sopravviventi ad ogni umana e nera morte, alla vostra stessa sepoltura.
E voi, che neanche sapete o sospettate di essere apparsi in una mia fotografia. Che un attimo un istante o un’espressione del vostro tempo perduto io l’ho raccolto e voi, forse, lo potreste ritrovare, se, per puro caso ci dovessimo incontrare e il caso procede secondo leggi impreviste e meticolose, ed è così breve il tempo che ci è assegnato per entrambi.
Ma è così difficile. Che questo possa accadere.
Ma niente è detto che non possa mai accadere.
E così è per voi tempo perduto, tempo che non dà ricordo. Voi ora apparite “senza un piano e senza coerenza”4 nelle pagine del mio ricordo, ma io non ve lo posso raccontare! Perché da sempre e per sempre scivoliamo nel rovescio del tempo dove nulla accade e nessuno più ci aspetta.
Io sono solo il vostro sconosciuto fantasma che vi trasforma in memoria e voi gli sconosciuti fantasmi che attraversate il mio tempo e in esso tornate ad apparire. Io ho colto un solo istante delle vostre vite sconosciute e perdute.
Eppure in quelle immagini voi ritornate ancora.[…]
ANTONIO CUONO
C’è un Nero da cui sbuchiamo e un Nero verso cui andiamo,
nel mentre un attimo di Luce, mutevole, cangiante, inafferrabile.
A volte incantevole. […]
“We Always Return”, è l’evidenza che nella fotografia metti tutto il tuo vissuto e, per affinità condivise mi sento di poter dire che i riferimenti culturali su cui poggia l’opera di Nella li ho ritrovati anche in alcuni passi delle “Elegie Duinesi” di Rainer Maria Rilke:
“Ma per noi, sentire è svanire; ah, noi ci esaliamo, sfumiamo; di brace in brace lasciamo odore più lieve”.
Visivamente e poeticamente nel nostro adorato “Il Cielo sopra Berlino” di Wim Wenders con la fotografia di Hern Alekan, nella frase di Marion:
“Il tempo guarirà tutto. Ma che succede se il tempo stesso è una malattia? Come se qualche volta ci si dovesse chinare per vivere ancora. Vivere: basta uno sguardo.
La sospensione sonora di “Always Returning” da” Apollo: Atmospheres And Soundtracks” di Brian Eno e Daniel Lanois
E le frasi scolpite nel profondo dai “Dialoghi con l’Angelo”
Si il RITORNO, Il ritorno come finalmente il “Lasciare Andare” definitivo, leggero,
in un attimo di Luce, mutevole, cangiante, inafferrabile.
A volte incantevole.
GUIDO LANDUCCI
[…] Mi turba, mi emoziona la sua densità oscura come di un irrisolto tormento d’amore, come di una inquieta memoria che leggo a prima vista.[…]
“We always return” contiene novantuno fotografie divise in tre parti, come una sonata.
Il primo movimento contiene venti fotografie e inizia con una fotografia che riassume il tema della sezione, con un tono realistico, che io associo musicalmente ad un Do diesis minore come una drammaturgia beethoveniana. Il tema si sviluppa con ritratti di donne che varcano l’indefinito, con sfarfallii di surrealismo, ove la luce flebile ne disegna i contorni dolci e sofferenti, modulando in immagini di bambine felici rapite dallo stupore per un aquilone o di una bolla di sapone.
La seconda parte, il secondo movimento, trentacinque foto, pone altri temi che possono sembrare minimalisti o marginali. Il loro sviluppo incanta, la poesia nel quotidiano minuto ordita nel rapporto con lo spazio della città conquista. In questa parte come in una forma sonata classica, le corde delle emozioni sono toccate con maestria e delicata tristezza intercalata dal felice stupore dei bimbi in un circo, da uno scorcio polacco, da una vista napoletana.
Io mi perdo poi, incantato, commosso, soffermandomi nel terzo movimento di questa splendida sonata fotografica di Nella Tarantino. Le ultime ventisei fotografie mi conquistano, catturano il mio cuore, la mia fantasia, rimango stupito, incantato di quei paesaggi di inquieta solitudine, di speranza fiorita dalla primavera che illumina l’inverno che passa, del mare che delimita l’orizzonte, di una cascata di luce che illumina le nere nubi.
[…] Perciò passa, mi pare di capire, dal titolo “We always return” al suo finale scritto “We always return, I am no longer afraid of dying”.
GABRIELE CALVISI
[…] “We always return” consente un tuffo nella profondità di un racconto che si costruisce lentamente, pagina dopo pagina, fotogramma dopo fotogramma.
Una pluralità di spazi onirici, valorizzati da un forte contrasto chiaroscurale, si intrecciano creando scene astratte e metafisiche. […]
Nella Tarantino dimostra in modo efficace ed evidente una grande competenza tecnica in ambito fotografico, senza tralasciare l’aspetto di aggiungere e arricchire di sentimento, emozione e anima ogni suo lavoro.
È con questa prerogativa che il libro di Nella Tarantino ci predispone al risveglio delle nostre emozioni più personali.
Nell’ osservare con attenzione ogni sua fotografia ci rendiamo conto di quanto sia facile lasciarsi trasportare da tracce e gesti sussurrati con l’intento di “raccontare” sue personali inquietudini e conflitti.
Ma sappiamo che l’arte, e in questo caso la passione per la fotografia, diventa entità salvifica, essa riesce senza dubbio ad indicarci la via per un giusto abitare poetico della nostra interiorità.
In conclusione posso dire che un libro fotografico di successo si riconosce subito, è quello che mette in comunicazione temi e visioni facendo in modo che il linguaggio iconico possa risultare ancora più chiaro di quello verbale.
“We always return” ha tutte queste qualità, con in più la magia di una narrazione visionaria, in cui forma e contenuto si uniscono per dare sostanza e vita ad un progetto editoriale di gran pregio. Il prezioso volume è arricchito da tre testi critici di autorevoli conoscitori dell’arte fotografica i quali riescono a mettere al centro della scena uno stretto dialogo tra il libro, il sogno e l’analisi intellettuale.[…]
GIUSEPPINA IRENE GROCCIA
In 150 pagine Nella Tarantino va alla ricerca del ricordo, della memoria e come questo si può trasportare per il tempo di un fotogramma nella realtà. Le immagini di "We always return" le abbiamo captate tutti, nel corso della nostra esistenza , nel sonno, durante il sogno nel quale possiamo accedere a quell'immenso serbatoio di ricordi, simboli e visioni insito in ognuno di noi.
Gli amanti di quella Fotografia di ricerca e riflessione sulle profondità dell'essere umano e della poesia, sia scritta, sia visiva dovrebbero assolutamente pensare di riporre "We always return" anche nelle loro librerie.
VANNI PANDOLFI
[…] In queste fotografie ogni tono separato è degno di analisi, di studio, di rispetto; soltanto attraverso l’intuizione, la ricerca, la conoscenza, si può apprezzare il singolo elemento. Soltanto attraverso la maturata opinione dell’unione tra i contrari si può raggiungere l’equilibrio degli elementi Luce e Ombra, una presa di coscienza che diventa preambolo di sogno, viaggio nei moti più profondi dell’anima; una magia metamorfica capace di assumere ogni forma senza che i particolari figurativi prevalgano sul contesto generale delle foto.[…]
MICHELE COCCIOLI
[…] Le opere di Nella Tarantino hanno a che fare però più col sublime e meno con la sensazione del bello. Non implicano un’estetizzazione patinata di questo o quel dettaglio, di questo o quel paesaggio mentale, urbano, marino, bensì un attraversamento, un’assunzione del divenire; si direbbe quasi che evochino un passaggio di stato, un com-movimento tra gli elementi della visione, e che, in questo loro farsi soglia e segnavia, imprestino un abito di tenerezza alla nudità dell’indicibile.
Ecco. La notte che non è mai del tutto tenebra. Lo stupore o la beata noncuranza dei bambini. I luoghi deserti e nondimeno pieni di voci. Lo scatto che non si vuole come fissazione. I cavalli del divenire alla ricerca del loro Nietzsche. Gli sfondi che si rivelano acqua nera, placenta che evade dal significante, dal torbido culturale del significante, e che dà alla luce la semplicità bambinesca e temibile della meraviglia.
Ecco. I contorni degli oggetti vengono sfrangiati per farli uscire dal loro confinamento culturale e per consentirci, a nostra volta, di poter evadere, almeno a sprazzi, dalle loro forme storiche, funzionali. Si mira alla compiutezza dell’emozione, non alla levigatezza formale del dettaglio. Si porta alla luce un disegno dell’esistente per saggiare una comunanza possibile, non per far sì che esso diventi una spoliazione, un denudamento della materia vivente al solo fine di valorizzarne la nudità.[…]
CARMINE MANGONE